La via del cuore
Per i sufi il proprio cuore è il cielo più alto, e ciò che normalmente è chiamato “amore”, per i sufi è Dio.
Vi sono molti concetti di Dio: Dio come creatore, giudice, ré, il Sé più alto… Per un sufi, Dio è il suo Amato. Non aspira ad altro che a una vita in continua consapevolezza della presenza dell’Amato e, tramite ciò, a riconoscere la presenza divina in ogni creatura, in tutto ciò che esiste.
Un sufi è convinto che nessuno può veramente amare Dio fintanto che non ami il suo prossimo. Segue l’invito di Cristo di amare i propri vicini e persino i propri nemici, perché nell’unione con Dio si sente unito a tutti.
L’Inayatiyya
Sufi Earth Spirit è legato all’Inayatiyya, un metodo Sufi internazionale e interreligioso di libertà spirituale.
Il grande musicista e mistico Hazrat Inayat Khan (1882 – 1927) portò il Sufismo dall’India all’occidente, diffondendo il messaggio di amore, armonia e bellezza. Suo figlio Pir Vilayat (1916 – 2004) continuò ad insegnare meditazione, integrando spiritualità, psicologia e scienza fisica. Il figlio di Vilayat, Zia Inayat Khan, è l’attuale guida dell’Inayatiyya Internazionale. Questo cammino Sufi dà risalto al primo libro sacro che accomuna tutti, il manoscritto della natura, e porta all’esperienza del divino dentro e intorno a noi.
Verso l’Uno
Di solito si usa etichettare i sufi come “mistici dell’islam”. Questa definizione ha alcuni elementi di verità, in quanto la maggior parte dei mistici chiamati sufi o dervishi (“poveri”) vissero in paesi orientali, immersi nella cultura islamica. Un importante elemento delle pratiche sufi sono i cosiddetti ’99 bei nomi di Dio’, parole arabe che esprimono gli attributi di Dio usati nel Corano. Anche lo Zhikr, la ripetizione mantrica di frasi e di preghiere, spesso accompagnata da movimenti ritmici, include in parte le stesse parole e frasi delle preghiere islamiche. Tuttavia i sufi interpretano queste preghiere e il concetto di Dio stesso a modo loro: secondo i sufi, Dio non è un essere lontano e distaccato dall’uomo che ci impone delle regole, ci minaccia con l’inferno o ci promette il paradiso. I sufi vogliono viverlo ora il paradiso, questa beatitudine, questo stato di consapevolezza, il risultato dell’unione mistica tra l’anima e Dio – l’estasi del cuore. Per i sufi il Divino, l’Uno, è l’essenza di tutto e di tutti, quindi anche di noi stessi. Lungo il cammino dei sufi, la presenza divina diventa sempre più reale e palpabile. Un versetto sufi dice: “Dio ti è più vicino della tua carotide, ti è più vicino di te stesso.” E una sura del Corano: “Ovunque tu ti volga, ivi è il volto di Allah.” Allah vuole dire Dio, anche i cristiani nei paesi arabi usano la parola Allah. È uno dei tanti nomi che noi uomini diamo all’essere divino che in realtà è senza nome. Il suono della parola Allah è bello, la “A” è il vocale del cuore, la “ll” apre le porte del cuore, e la “h” alla fine è il respiro e ci ricorda la presenza divina nel respiro stesso.
Il cammino Sufi non è limitata a una unica religione, ma va oltre. Le sue radici sono più antiche dell’islam. Viene a volte definito come l’unione antica del cristianesimo e del neoplatonismo che diede vita ad una forma di ricerca interiore. Il sufismo utilizza anche elementi e concetti derivati da fonti persiane antiche e indù. Alcuni dicono che il sufismo sia ”il cuore di ogni religione”.
Presenti in molti paesi, ormai non più solo in paesi prevalentemente islamici, esistono vari gruppi sufi, cosiddetti ordini o “tariqe” (tariqa = cammino, sentiero). Di solito gli ordini crebbero intorno a un maestro o santo. Gli ordini possono distinguersi molto l’uno dall’altro. Ci sono dei sufi che sono musulmani devoti, osservanti e ortodossi, altri invece sono meno ortodossi, e altri ancora aderiscono ad altre religioni o sentono di far parte di nessuna o di ogni religione- dietro le diverse forme di religione hanno scoperto un’unica nostalgia dell’anima di ricongiungersi a Dio, un Dio che è lo stesso per tutti, l’essenza indescrivibile nascosta in tutto ciò che esiste.
“Nel nome di Colui che non ha nome
e che appare, con qualunque nome tu Lo invochi.”
Dara Shikoh, principe indiano che divenne sufi (1615 – 1659)
Lo spirito dei sufi è libertà spirituale – e non di rado erano e sono perseguitati dagli ultra-ortodossi, oggi titolati “islamisti“. I sufi traggono ispirazione dall’esempio di tutti i profeti, maestri, saggi e santi di tutte le religioni, culture e secoli. Possono nascere nuovi ordini Sufi anche oggi.
Un adepto sufi di solito ha una guida spirituale personale. La guida può insegnare senza parole, tramite il proprio comportamento, tramite il cuore. Può anche proporre delle pratiche individuali all’adepto. Il legame tra loro due è tenero e prezioso, ma la guida non è un guru. Piuttosto è un amico vero. Lo scopo delle pratiche è di far maturare l’adepto finché scopre lo spirito guida dentro il proprio essere.
Le pratiche spirituali aiutano il sufi a “lucidare lo specchio del cuore”, affinché la luce divina vi brilli, illuminando il proprio carattere e il proprio sentiero. In fondo è l’ardore del proprio cuore che fa da guida al sufi.
In generale, il sufismo è talmente distante dal concetto di dogma, da filosofie a direzione unica, da comandamenti del tipo “devi” o “non devi”, che i maestri sufi stessi esprimono disagio dinanzi al termine “sufismo”. La via Sufi non è un “ismo”, non è una dottrina. È più vicina alla musica o alla poesia.
È un cammino mistico, una via del cuore, un sentiero lungo il quale l’adepto impara piano piano a dimenticare se stesso e a ricordarsi sempre di più della presenza divina, a viverla, a dissolversi in essa, e a percepirla in ogni essere e tutto intorno.